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Sai, ho sempre pensato che l’amore fosse un dono. Un fremito improvviso, uno slancio, una rivelazione. Ma poi ho incontrato la fatica dell’amore. Quella che non canta, che non sorride, che non abbraccia. Quella che rimane quando tutto il resto tace.
Clemente di Alessandria, un uomo vissuto quasi duemila anni fa, diceva che Dio educa l’uomo con amore e tramite l’amore. Non con la minaccia, non con la paura. Non con premi o castighi. Ma con amore. Come un pedagogo, un maestro paziente che non umilia, ma forma. Che non costringe, ma accompagna.
È un’immagine potente, no? Dio, che non ci spinge con la forza, ma ci attira con la dolcezza. Non ci plasma con la violenza, ma ci modella con la fedeltà. Con quella forma di amore che non si ritira quando non è ricambiata. Che non si spegne quando è rifiutata. Che rimane, persino quando sembra inutile.
E allora… mi chiedo.
Se l’amore diventa impossibile, è pur sempre amore?
Quando amare non porta più gioia, ma dolore. Quando il dialogo si spezza, quando le mani si allontanano, quando non resta che il silenzio… è ancora amore?
Quando continui ad amare, anche se non sei visto. Quando resti, anche se vorresti fuggire. Quando perdoni, anche se nessuno chiede perdono. È ancora amore?
O è solo illusione? Ostinazione? Dipendenza?
Io non lo so. Forse sì. Forse l’amore vero comincia proprio quando diventa impossibile.
Perché è lì che smette di essere un bisogno… e diventa una scelta.
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