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Dedica a cui stai rispondendo

È già giovedì sera. Sono tre giorni che rimando lo studio, la palestra, la lettura di quel libro che ho aperto da tanto, le pulizie in casa, la spesa. Perché sono due sere che mi siedo sulla tua sedia. E da quel momento le ore hanno preso a scorrere piú lentamente. La sedia che amavi, quella fuori al balcone, che d'estate ha ascoltato ogni nostra parola, ogni nostra risata. Non c'è più, anche se adesso sta sostenendo il mio corpo, non c'è più perche tu non ci sei più, mamma. Lunedì per la prima volta sono venuta al cimitero. Non avevo neanche programmato di venirci, al tuo funerale sapevo perfettamente che quella sarebbe stata l'ultima volta che ci avrei messo piede, ma lunedì, ho pianto, faceva caldo, ed ero sola, come sempre, tornata dall'Università, a piedi mi avviavo verso casa. E intanto pensavo a noi. A quello che eravamo e a quello che vorrei che fossimo. Quel giorno stavo soffrendo così tanto che avevo preso consapevolezza del fatto che zia, no, non sarebbe bastata, neanche Elena, neanche Martina o Rakona. Nessuno in quel momento poteva consolarmi. Tranne tu. Lunedì è stato uno di quei giorni in cui se fossi stata qui ti avrei raggiunto in cucina e, mugugnando, mi avrei fatta abbracciare, ti avrei fatto chiedere più di una volta cosa non andasse, non avrei risposto all'inizio, poi però ti avrei detto tutto piangendo. Ma stavolta dovevo farmi bastare la tua tomba. Ho aperto la cappella e il pezzo di marmo che ci separava puzzava di fiori, freschi e appassiti. Li odiavo. Dovunque. Non sono riuscita a dirti neanche ciao, lo sai a queste cose non ci credo, ti ho solo toccata, prima con la mano, ma la parete era fredda, poi con la mente, ma tu non eri più la stessa. Nel tuo letto di legno non sei più la stessa, non sei più quella dell'estate scorsa che era su questa sedia fuori al balcone a parlare della vacanza che avremmo dovuto prenotare. Non ti dirò che mi manchi, non ti dirò che soffro, non mi chiederò dove sei. Ti dirò che ogni giorno compro dei vestiti nuovi, per cambiare fuori quello che non posso cambiare dentro, ma alla fine indosso sempre i tuoi, quelli che mi entrano, quelli che indossavi prima delle chemio. Mi sono innamorata di un ragazzo fidanzato e di questo me ne vergogno, ma tu avresti saputo pulirmi dalla vergogna, non indosso gli orecchini nuovi e i vestiti appena comprati, perché il dubbio che tu mi stia guardando dall'alto, come don Rocco mi ha assicurato, in certi giorni mi assale e finisco per crederci veramente e non voglio che tu mi veda con indosso maglie e pantaloni e gioielli che non conosci, che non hai mai visto, non voglio che stenti a riconoscermi, che mi vedi cambiata. Perché cambiata lo sono parecchio in quest'anno, forse fin troppo, ma io voglio che tu veda in me ancora la figlia che ti amava più di qualunque persona al mondo. Solo questo ti basterà sapere di me. Che ti amo ancora. Che la fase dello svuotamento è terminata, che quella del vuoto è appena iniziata. Mi sento vuota, continuamente mancante di qualcosa, come di un arto o un organo, ma sulla pelle non mi fa male. Dentro sì, un sacco. E non lo dico. Di te non i parla mai, mai, anche perche chi capirebbe davvero quello che provo? Ma quando le zie dicono il tuo nome mi commuovo. Non parlo di te da almeno nove mesi, non ci riesco, mi viene da piangere. Non ho un ricordo di te, la mia mente ha fatto tabula rasa di ogni nostra goccia di vita insieme, volutamente, egregiamente. Mi sento fuori posto e insoddisfatta, qualunque cosa faccia, ovunque mi trovi, e se qualcuno mi chiama io mi volto, ma non è nessuno, perché non sei tu che mi chiami. La casa è in disordine nel fine settimana da quando non ci sei, non studio più disperatamente come quando tu eri in soggiorno con me, non ho più le amiche che conoscevi, non ho più il taglio che mi hai visto l'ultimo volta, ho avuto cinque 30 e due 30 e Lode, ho conosciuto un ragazzo che mi ha detto che sono bella, sono stata la damigella d'onore al matrimonio della tua comarella, sono diventata zia nel frattempo. Era questo che volevo dirti, mi fa strano e schifo nel contempo raccontarti della mia vita, proprio a te che non hai mai avuto bisogno di racconti perché le mie cose le vivevi tutte con me. La gente del paese ora è molto gentile con noi. Zia Teresa si é duramente rimboccata le maniche e ci sta crescendo. Papà... Papà non è cambiato, a giorni alterni lo odio, ci riempie di cose materiali e ci rende orfane di affetto e attenzione. Inutile dire che vorrei averti qui. Nella borsa il tuo maglioncino blu. Quello che mettesti l'ultima volta che andasti a fare la spesa, piccolo piccolo come te esile. Ma io so che tu sei ancora tutta lì, nelle maniche di quella maglia, ancora lì sul divano a fissare il soffitto e a sorridermi ogni volta che mi sentivi irrompere dalla porta. Solo che ad esso non parli più. Su questa sedia, in questo giorno d'estate ti mando il mio bacio, guardo verso il nostro pumto mel cielo, dietro l'albero del giardino di Concetta e stringo piano il cuore, con tutto il tempo per sentirmi la pace esplodere dentro.Ci vediamo una notte in un sonno, non vedo l'ora di riabbracciarti. Ciao mamma.