Lettere

da Anonimo

Che dirti.
Non ci sentiamo da anni, ci siamo conosciuti perché mi serviva il tuo aiuto e in un modo o nell'altro mi sono ritrovata a scoprirti interessante.
Certo, non era una qualcosa di cosi improbabile, eri carino, intelligente,gentilissimo.
Quella sera in cui mi sono presentata contro ogni aspettativa a quella festa e ci siamo incontrati sei diventato viola, poi color porpora non appena ci siamo guardati.
Io eri li che passeggiavo avanti e indietro per farmi notare da te, trascinandomi dietro la mia povera amica e reggendo in mano la seconda ceres.
E tu mi hai vista, mi hai chiamata, mi hai fermata anche se io fingevo di non essermi accorta di te e stavo camminando dritta come un soldato che marcia.
E poi gli auguri privati, le frasi che ti sfuggivano e gli sguardi che di certo non potevi camuffare.
Ma il tuo ruolo nei miei riguardi era pressoché quello di un insegnante e anche se eravamo entrambi giovani e svegli c'erano delle limitazioni ovvie.
Nemmeno io potevo comportarmi come avrei voluto, non ti avrei mai messo in una situazione del genere.
Non so nemmeno se è vero che anche da parte tua c'era quell'interesse, quella curiosita.
Non importa.
Sento che è cosi.
E mi dispiace se non mi sono fatta più viva, se ho ferito il orgoglio da bravo insegnate, non eri tu il mio problema, te l'ho ripetuto tante volte in cui mesi.
Non ero serena, non ero determinata.
E in più tu eri esattamente il tipo di ragazzo che guarderei per strada.
Eri il mio tipo.
O cosi sembravi, e questa cosa mi mandava in confusione, ero agitata per l'esame e per te nello stesso momento.
Ma non potevo dirti tutto questo, o avresti pensato che mi stessi comportando come una patetica quindicenne in calore.
Tu eri bravo a spiegare, ad insegnare, ero io che non avevo voglia di imparare.
Forse in quel momento mi sarebbe servito un grasso professore settantenne con la voce noiosa e la barba bianca.
E invece mi sei capitato tu, con quegli occhi.
E più mi sforzavo di scacciare via dalla mente i pensieri più strani su di te, piu desideravo avere un contatto fisico con te, più desideravo toccarti, respirare per la prima volta il tuo odore.
Delle volte nemmeno ti ascoltavo.
Ti vedevo e mi si chiudeva lo stomaco, mi sforzavo di restare concentrata ma la mia testa non faceva altro che ripetere "ha dei begli occhi, una bella bocca" oppure "come sarebbe bere qualcosa con lui, cosa mi direbbe?di cosa parleremmo?".
Tu, per quello che ti ho conosciuto, assomigli a me solo in un fatto.
Nel fatto che, proprio come me, razionalità e impulso sono due cavalli perfettamente uguali, non c'è quello piu grande o più alto o quello più smilzo e giovane.
Entrambi sono stati allevati con la stessa attenzione, la stessa importanza ad uno la stessa ad un altro.
E negli essere in cui non c'è un cavallo più robusto e forte che guida il carro dell'equilibrio è la loro conseguenza.
Ma l'equilibrio per essere tale è doloroso, magari logorante, la scelta è sempre difficile per queste persone.
E basta poco per far esplodere l'orologio, la bilancia, l'equilibrio...

25 agosto 2017

Categoria: Lettere